Ogni volta che scegli la presenza, la pratica si espande.
Non resta più chiusa nel tempo del tappetino, ma si infiltra tra le crepe della giornata, diventa modo di amare, modo di cadere, modo di ritrovare senso.
È la pratica che tocca ogni cosa, che unisce la polvere al cielo e ti ricorda che sei parte.
Quando accetti l’ostacolo come parte del sentiero, cominci a cambiare. Non per diventare qualcun altro, ma per svelare chi sei.
Dal limite nasce la qualità: pazienza, gentilezza, discernimento, maturità che non fa rumore.
Siamo tessuti insieme. Ogni pensiero che nasce in te muove qualcosa anche nel mondo. E quando allinei la tua pratica alle leggi sottili dell’universo, non sei più separata, ma parte di un respiro più grande.
Ti accorgi che anche il dolore ha la sua musica, che ogni persona che incontri è una soglia, e che lo Yoga è questo: camminare nel mondo senza dimenticare di essere una goccia dell’oceano.
Per vivere così, però, è necessario attraversare gli ostacoli. Non combatterli, ma guardarli come amici che ti insegnano a tornare a casa.
Nello Yoga si chiamano Kleśa, ombre gentili della mente:
• Avidyā– dimenticare chi siamo davvero
• Asmitā– credersi separati
• Rāga– desiderare senza fine
• Dveṣa– respingere ciò che punge
• Abhiniveśa– temere il cambiamento, attaccarsi alla vita
E poi, con passi più sottili, arrivano i 6 Arishā, che sussurrano tra le pieghe del cuore:
• Kāma– il desiderio che brucia
• Krodha– la rabbia che scoppia
• Lobhā– l’avidità che stringe
• Moha– l’illusione che confonde
• Māda– l’orgoglio che separa
• Mātsarya– l’invidia che consuma
Ma tu puoi attraversarli. Con un respiro consapevole, una scelta gentile, un silenzio che non giudica. Prima o poi scriverò qualcosa di più al riguardo.
Uketamo’
Love, c.

